L'effetto placebo
L'effetto placebo mette in luce il potere della nostra mente nel controllare lo stato di salute del nostro corpo. Ma come funziona?
Articolo a cura di Marika De Acetis,
aggiornato il 07.07.2008
L'effetto placebo è uno dei fattori che permettono ai farmaci di farci
stare meglio quando ci ammaliamo. Infatti, è noto che agiscono seguendo
almeno due vie: quella biochimica, spesso indispensabile alla guarigione,
e quella psicologica. In altre, parole, la semplice idea che ci stiamo
curando può farci stare meglio. Ma quanto meglio? Certo non ci può curare
da una malattia molto grave, anche se ci può essere di sollievo, ma spesso
può migliorare notevolmente piccoli disturbi come la nausea, piccole sensazioni
dolorose, il mal di stomaco. Quello che succede è che si attiva un meccanismo
inconscio che migliora il nostro atteggiamento nei confronti della malattia.
Come si dimostra l'effetto placebo? Si prendono diversi pazienti che hanno
la stessa patologia e li si dividono in tre gruppi. Al primo gruppo non
si fornisce alcun farmaco, al secondo si fornisce il farmaco e al terzo
si fornisce una pillola senza il farmaco (il placebo), quindi si osserva
cosa succede. Quello che può accadere in certe circostanze è che i pazienti
che hanno preso il placebo migliorano in modo sensibilmente più evidente
di quelli che non l'hanno preso, anche se non arrivano magari a toccare
i livelli di guarigione che si hanno con il farmaco, se questo è efficace.
La differenza tra un paziente che non ha preso niente e uno che ha preso
un farmaco finto, senza saperlo, è l'effetto placebo (in realtà questi
esperimenti sono molto difficili da realizzare, perché in ogni caso un
paziente che entra in un programma di cura risente già dell'effetto placebo).
Solitamente l'uso di questo termine in medicina è fatto risalire al 1811,
nella definizione data da Robert Hooper: "epiteto dato a una qualunque
medicina prescritta più per compiacere il paziente che per trattare la
medicina". Oggi, nonostante le controversie sulla reale natura di questo
effetto (i meccanismi non sono del tutto chiari), l'uso del placebo è
una pratica accettata universalmente nella clinica per verificare l'efficacia
di un farmaco. Infatti, un farmaco è ritenuto efficace se il suo effetto
è statisticamente e qualitativamente migliore di quello che si ottiene
solo somministrando il placebo. Alcuni ricercatori hanno dimostrato con
la risonanza magnetica nucleare che la somministrazione di finti anti-dolorifici
era in grado di modificare l'attività delle aree del cervello deputate
al controllo del dolore. Al momento non è chiaro se il placebo possa essere
veramente utilizzato a scopo terapeutico, né se ci sia un'efficacia riconoscibile
anche per condizioni diverse dalla sensazione dolorifica. Quello che stanno
mettendo in luce gli studi che si occupano di analizzare il rapporto tra
il miglioramento della condizione di vita dei pazienti e le pratiche ausiliarli
a supporto, è che un paziente che si sente curato e può fare qualcosa
di attivo per migliorare il proprio stato di salute, sta generalmente
peggio di chi non può farlo.
Imaging cerebrale ed effetto placebo
Grazie alla tecnica di spettroscopia a emissione di positroni e a quella di risonanza magnetica funzionale applicate a una coorte di volontari che credevano di ricevere un farmaco antidolorifico, i ricercatori hanno evidenziato le zone cerebrali attivate e collocare l’origine del fenomeno
Ricercatori dell'Università del Michigan ad Ann Arbor
hanno scoperto la regione cerebrale attivata quando si verifica l’effetto
placebo: si tratta del nucleus accumbens, normalmente implicato nei processi
che coinvolgono i processi di ricompensa. Secondo quanto pubblicato in
un articolo della rivista “Neuron” di questa settimana, si tratta di un
passo importante per comprendere il complesso insieme di fenomeni da cui
si origina l’effetto placebo. Come noto, quest’ultimo è un fenomeno che
si verifica quando viene somministrata una sostanza inefficace – il placebo
appunto – a soggetti che credono che si tratti di un farmaco per il trattamento
di qualche patologia o disturbo. In una percentuale ragguardevole di casi,
la sostanza somministrata produce effettivamente un beneficio, frutto
probabilmente della suggestione che agisce nella persona consapevole di
essere curata. Grazie alla tecnica di spettroscopia a emissione di positroni
e a quella di risonanza magnetica funzionale applicate a una coorte di
volontari che credevano di ricevere un farmaco antidolorifico, i ricercatori
hanno potuto evidenziare le zone cerebrali attivate e collocare l’origine
del fenomeno in una posizione precisa del cervello. In sostanza, in grado
di attività di tali cellule cerebrali è risultato direttamente proporzionale
all’efficacia dell’effetto placebo verificata tramite i questionari. Nelle
conclusioni dell’articolo si legge che “I risultati sono consistenti con
l’ipotesi che sia cruciale il ‘valore di incentivazione’ del placebo.
Tale effetto emerge così come una capacità di recupero dell’organismo
che ha un’ampia gamma di implicazioni, data l’attivazione di specifici
circuiti e meccanismi, e che potrà in futuro essere esaminata ed eventualmente
manipolata per fini terapeutici.” |
Effetto placebo: è questione di geni
Data: 05-12-2008
Chi l`ha detto che le bugie fanno male? Grazie all`effetto placebo, cioè
l`attitudine a beneficiare di trattamenti in realtà inesistenti, si può
guarire anche con un bicchier d`acqua, a patto che lo si creda un farmaco.
Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Neuroscience, la suscettibilità
al placebo deriverebbe da un gene. “è la prima volta – dice Tomas
Furmark, della svedese Uppsala University –
che si scopre un gene legato all`effetto placebo”. I ricercatori hanno
individuato venticinque persone affette da un disturbo noto come ansia
sociale, l`esagerata paura che emerge quando i soggetti che ne soffrono
si trovano in contesti pubblici. I partecipanti all`esperimento sono stati
trattati con un placebo per otto settimane e sono stati obbligati a sfidare
la loro fobia, pronunciando due discorsi in pubblico: uno prima dell`inizio
del trattamento e uno alla fine. Dieci volontari su 25 hanno risposto
in maniera evidente al placebo, cioè al “finto” farmaco: la loro ansia,
durante il secondo discorso, si è dimezzata e l`attività dell`amigdala,
cioè il centro della paura nel nostro cervello, era calata del 3%. Per
capire se effettivamente ci fosse una relazione tra alcuni geni e la reattività
al placebo, gli studiosi hanno cercato una variante del gene collegato
al triptofano idroxilase-2, un enzima decisivo per la sintesi della serotonina,
sostanza coinvolta in moltissime attività del cervello, come regolazione
dell`umore, dell`appetito, dell`aggressività: precedenti studi avevano
infatti dimostrato che chi aveva due copie di questa variante genetica
era meno ansioso. E dalla ricerca è emerso che la stessa variazione genetica
era presente in otto dei dieci volontari che avevano risposto al placebo,
mentre risultava assente e in tutti i soggetti che non avevano reagito
al finto trattamento. Secondo gli studiosi il gene potrebbe influenzare
anche altre condizioni che dipendono dall`amigdala, come fobie e depressione.
Poiché i risultati della ricerca, come avvertono gli stessi ricercatori,
si fondano su numeri esigui, saranno necessari altri studi per verificare
se l`effetto placebo dipenda esclusivamente da determinate caratteristiche
genetiche.
Agopuntura, solo placebo "Efficacia psicologica"
Una ricerca ridimensiona la tecnica cinese. Una medicina dalle origini antiche. "Inganna" la mente, così cura l'emicrania. Effetti positivi anche con aghi messi a caso.
22 gennaio 2009
L'agopuntura funziona, a patto che ai pazienti
non si riveli che in realtà non funziona. Sembra un paradosso, ma è la
sostanza di una delle più ampie ricerche mai condotte su questa antichissima
forma di terapia contro le nevralgie di ogni genere e molti altri tipi
di mali, usata da oltre cinquemila anni in Estremo Oriente, da tempo diventata
molto diffusa e popolare come forma di medicina alternativa anche in Occidente.
Eppure i suoi effetti terapeutici sono per la maggior parte nella mente
dei pazienti, influendo psicologicamente su di loro come un placebo: convinti
di ricevere una cura utile, vi reagiscono positivamente, con una scomparsa
o un'attenuazione dei dolori di cui soffrono, anche se in effetti non
si riscontrano benefici effettivi. L'esperimento in questione ha infatti
appurato che, se gli aghi vengono conficcati nei punti sbagliati del corpo,
ossia non lungo le linee di pressione su cui dovrebbero trovarsi per incidere
sul sistema nervoso, i risultati sul malato sono praticamente identici.
Se non è il modo in cui sono disposti gli aghi a determinare una "guarigione",
commentano gli scienziati, allora dev'essere la psiche umana che provoca
una sensazione di benessere. La ricerca è stata pubblicata su Cochrane
Library, la rivista della Cochrane Collaboration,
l'organizzazione che si occupa della revisione critica degli studi clinici
internazionali, riportata dalla Bbc. Lo studio è stato condotto da ricercatori
del Centro per la ricerca medica complementare dell'Università
Tecnica di Monaco, ha esaminato una serie di trentatré esperimenti
compiuti su un campione molto esteso di persone: ben 6.736 pazienti, sofferenti
di forti emicranie e mal di testa. Alcuni sono stati sottoposti all'agopuntura
tradizionale, seguendo i punti di pressione del corpo. Altri invece hanno
ricevuto una forma di "falsa" agopuntura, con gli aghi disposti a casaccio
o nei punti sbagliati. Il risultato sorprendente è stato che tutti hanno
registrato benefici dal trattamento, paragonabili a quelli ottenuti attraverso
analgesici o altri medicinali per diminuire il dolore. "Gran parte dei
vantaggi clinici dell'agopuntura sembrano essere derivati da effetti non
legati alla collocazione degli aghi, bensì a un forte effetto placebo",
afferma il professor Klaus Linde, che ha diretto la ricerca. "Con questo
- aggiunge Linde, per puntualizzare - non intendiamo dire che l'agopuntura
non funziona in assoluto, ma che la selezione di specifici punti del corpo
appare meno importante di quanto molti di coloro che praticano questo
trattamento hanno ritenuto fino ad ora". Più importante sarebbe invece
il convincimento del paziente: se questi crede che la cura sia valida,
il suo cervello reagirà in modo da procurargli dei benefici. Come il placebo,
la pillolina di zucchero che non contiene alcun medicinale, ma che viene
data in test clinici per appurare, appunto, le differenze con medicinali
veri e propri, l'agopuntura avrebbe dunque un effetto innanzitutto di
carattere psicologico. Si tratta, sottolineano i ricercatori tedeschi,
soltanto di un'ipotesi: "Senza dubbio saranno necessarie ulteriori ricerche
per capire esattamente come funziona questa terapia prima che venga prescritta
ai pazienti", osserva il professor Linde. "I medici devono sapere quanto
a lungo si protrarranno gli effetti positivi dell'agopuntura e se dei
terapisti più esperti possono effettivamente ottenere risultati migliori
di terapiste che hanno avuto soltanto un addestramento di base".
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