Gli anticorpi monoclonali (mAb) costituiscono un insieme di anticorpi identici fra di essi in quanto sono prodotti da linee cellulari provenienti da un solo tipo di cellula immunitaria (quindi un clone cellulare). Dato un qualsiasi antigene, è possibile creare uno o più anticorpi monoclonali in grado di legare specificamente un suo determinante antigenico; questo implica la possibilità di individuare, neutralizzare o purificare la sostanza in oggetto.
Ogni specifico anticorpo, che riconosce uno specifico determinante antigenico (epitopo), è prodotto da uno specifico linfocita B.
Gli "anticorpi monoclonali" sono figli della biologia molecolare. Meglio conosciuta col nome di "ingegneria genetica" ha dato modo agli scienziati di manipolare direttamente i geni, ricombinandoli fra loro. Essi sono capaci di bloccare l’infiammazione a vari livelli, inibendo selettivamente l’azione delle citochine ad azione proinfiammatorie o delle molecole di adesione. Pur mostrando efficacia e tollerabilità nelle malattie autoimmuni, risultano associati, con un’incidenza variabile, a sviluppo di anticorpi al farmaco e/o ad autoanticorpi, la cui rilevanza clinica non è ancora del tutto chiara. Uno dei problemi più gravi è la loro capacità di far insorgere altre infezioni sostenute da germi opportunisti.
Natalizumab
Il Natalizumab (commercializzato in Italia dalla Dompè Biogen con il nome di Tysabri) è un anticorpo monoclonale umanizzato utilizzato nella terapia di disordini infiammatori immunitari come la Sclerosi Multipla e la malattia di Crohn. Il suo utilizzo in clinica è stato approvato in Italia nel Dicembre 2006.
È un anticorpo monoclonale diretto contro l'integrina a4ß1 e agisce impedendo l'adesione e la migrazione linfocitaria dal letto vascolare alla sede di infiammazione.
Il meccanismo ipotizzato è quello che il farmaco blocca la migrazione delle cellule immunitarie dal circolo sanguigno al cervello, impedendo in tal modo il processo infiammatorio e prevenendo il danneggiamento delle fibre nervose.
Agisce come un antagonista degli eterodimeri dell’integrina, che contengono la subunità alfa 4-integrina.
Quando Natalizumab si lega alla subunità alfa-4 dell’integrina, previene l’adesione alfa-4 mediata dei leucociti al loro recettore (VCAM-1, MadCAM-1), impedendo in tal modo il passaggio dei leucociti attraverso l’endotelio, nel tessuto parenchimale infiammato.
Studi clinici nel trattamento delle forme recidivanti della Sclerosi Multipla hanno dimostrato che Natalizumab è in grado di ritardare l’accumulo di disabilità e di ridurre la frequenza delle esacerbazioni cliniche.
Nel 2005, Natalizumab è stato temporaneamente ritirato dal commercio dopo la segnalazione di 3 casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva.
Successivamente, dopo la valutazione del rischio e del beneficio, Natalizumab è stato reintrodotto in commercio.
Studio AFFIRM a 2 anni: efficacia del Natalizumab nel trattamento della Sclerosi Multipla recidivante
Ricercatori dello studio AFFIRM hanno riportato i risultati a 2 anni di uno studio clinico di fase III riguardante Natalizumab (Tysabri), il primo antagonista dell’integrina-alfa 4 nel trattamento della Sclerosi Multipla recidivante.
Dei 942 pazienti, 627 sono stati assegnati in modo causale a ricevere Natalizumab al dosaggio di 300mg, mentre 315 hanno ricevuto placebo, mediante infusione endovenosa ogni 4 settimane per più di 2 anni.
L’end point primario era rappresentato dalla percentuale di recidive cliniche ad 1 anno e la percentuale di progressione sostenuta della disabilità misurata alla scala EDSS (Expanded Disability Status Scale) a 2 anni. Natalizumab ha ridotto il rischio di progressione sostenuta della disabilità del 42% nell’arco di 2 anni (hazard ratio, HR = 0.58; p < 0.001).
La probabilità cumulativa di progressione (in base all’analisi Kaplan-Meier) è stata del 17% nel gruppo Natalizumab e del 29% nel gruppo placebo. Natalizumab ha ridotto l’incidenza di recidive cliniche a 1 anno del 68% (p < 0.001) e ha diminuito dell’83% l’accumulo di nuove o più estese lesioni iperintense, come evidenziato dalla risonanza magnetica per immagini pesata in T2, in 2 anni (numero medio di lesioni: 1.9 con Natalizumab e 11 con placebo; p <0.001). Il numero di lesioni si è ridotto del 92% nel gruppo Natalizumab rispetto al gruppo placebo, come rilevato dalla risonanza magnetica per immagini captante il gadolinio, sia a 1 anno che a 2 ( p <0.001).
Le reazioni avverse si sono presentate più frequentemente nel gruppo Natalizumab che non nel gruppo placebo, ed erano rappresentate da: senso di fatica (27% versus 21%; p = 0.048) e reazioni allergiche (9% versus 4%; p = 0.012).
Le reazioni di ipersensibilità di ogni tipo si sono presentate nel 4% dei pazienti (n = 25) trattati con Natalizumab, e gravi reazioni di ipersensibilità si sono presentate in 8 pazienti (1%).
I dati dello studio hanno dimostrato che Natalizumab, un inibitore della molecola di adesione, riduce il rischio di progressione sostenuta di disabilità e l’incidenza di recidive cliniche nei pazienti con Sclerosi Multipla recidivante.
Polman CH et al, N Engl J Med 2006; 354: 899-910
Sclerosi multipla recidivante-remittente: Natalizumab e leucoencefalopatia multifocale progressiva
A fine luglio 2008 sono stati segnalati in Europa due casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) nei pazienti con Sclerosi Multipla in trattamento con Natalizumab ( Tysabri ), nella fase post-marketing.
In entrambi i casi Natalizumab era stato somministrato in monoterapia rispettivamente per circa 17 e 14 mesi.
L’attento monitoraggio clinico da parte dei medici prescrittori rivolto alla possibilità di insorgenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva con Tysabri ha avuto un ruolo fondamentale nell’identificazione dei due casi.
Questi casi sottolineano quanto sia importante:
a)monitorare costantemente i pazienti nel corso di tutto il trattamento con Natalizumab;
b)sospendere immediatamente la somministrazione di Natalizumab in caso di sospetta leucoencefalopatia multifocale progressiva, ed eseguire una valutazione diagnostica appropriata, comprendente la risonanza magnetica e l’esame del liquor.
La leucoencefalopatia multifocale progressiva è una malattia progressiva subacuta del sistema nervoso centrale, causata dalla riattivazione del virus JC prevalentemente nei pazienti immunocompromessi.
La leucoencefalopatia multifocale progressiva di solito esita in grave invalidità o morte.
Vi sono stati complessivamente quattro casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva tra i pazienti con Sclerosi Multipla recidivante-remittente in terapia con Natalizumab.
Due casi sono stati osservati in pazienti in trattamento con Natalizumab in associazione con Interferone beta nell’ambito degli studi clinici pre-registrativi. Uno di questi due casi ha avuto esito fatale.
Nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto ( RCP ) la terapia di associazione è controindicata.
Alla data di luglio 2008, in tutto il mondo sono in trattamento con Tysabri circa 31.800 pazienti affetti da Sclerosi Multipla. Considerando tutti i pazienti in trattamento con Tysabri ovvero quelli trattati sia nell’ambito di studi clinici che nella fase postmarketing, circa 13.900 pazienti hanno ricevuto almeno un anno di terapia con Tysabri e circa 6.600 hanno effettuato la terapia per 18 mesi o più.
Il rischio assoluto di sviluppare una leucoencefalopatia multifocale progressiva nei pazienti trattati con Tysabri non può essere stimato con precisione.
Raccomandazioni per i medici:
Se un paziente sviluppa leucoencefalopatia multifocale progressiva, il trattamento con Tysabri deve essere sospeso definitivamente.
• Tysabri deve essere prescritto in stretta conformità con quanto riportato dall’RCP.
• Prima di iniziare la terapia con Tysabri, deve essere disponibile una risonanza magnetica recente. I pazienti devono essere controllati ad intervalli regolari per poter identificare segni o sintomi neurologici, nuovi o peggiorativi, che possano indicare l’insorgenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva. Se compaiono nuovi sintomi neurologici, è necessario sospendere il trattamento fino a quando non sia stata esclusa la presenza di PML.
• Il medico deve valutare il paziente per determinare se i sintomi siano indicativi di una disfunzione neurologica ed eventualmente se questi siano tipici della Sclerosi Multipla oppure se facciano sospettare la presenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva. Nel caso di sospetta PML, o in caso di dubbio, si deve sospendere il trattamento con Tysabri e considerare un'ulteriore valutazione, che può comprendere una risonanza magnetica, un esame del liquor per la ricerca del DNA del virus JC e la ripetizione della valutazione neurologica. Solo dopo che il medico abbia escluso la presenza di PML la somministrazione di Natalizumab potrà essere ripresa.
• Tysabri è controindicato nei pazienti che presentano un aumentato rischio di infezioni opportunistiche, fra cui i pazienti immunocompromessi (inclusi quelli in trattamento con immunosoppressori o immunocompromessi da terapie precedenti, ad esempio con Mitoxantrone o Ciclofosfamide). Fonte: AIFA, 2008
Reazioni allergiche ritardate con Natalizumab associate a formazione precoce di anticorpi neutralizzanti
Natalizumab (Tysabri) rappresenta una nuova opzione terapeutica per la Sclerosi Multipla remittente-recidivante.
Come per altre terapie a base di anticorpi, sono state osservate reazioni di ipersensibilità con Natalizumab.
Nello studio AFFIRM (Natalizumab Safety and Efficacy in Relapsing-Remitting Multiple Sclerosis), le reazioni di ipersensibilità associate all’infusione si sono sviluppate nel 4% dei pazienti, generalmente entro 2 ore dopo aver iniziato il trattamento.
Ricercatori della Ludwig Maximilian University di Monaco di Baviera in Germania, hanno descritto il caso di una reazione allergica sistemica di tipo III ritardata, simile alla malattia da siero, dopo trattamento con Natalizumab.
Un uomo di 23 anni con Sclerosi Multipla remittente-recidivante ha sviluppato febbre, artralgia, eritema orticarioide e gonfiore degli arti inferiori, diversi giorni dopo la seconda infusione di Natalizumab.
Cinque settimane dopo aver iniziato la terapia con l’anticorpo monoclonale, il paziente è risultato positivo per gli anticorpi anti-Natalizumab, ed ha presentato persistenti titoli anticorpali 8-12 settimane più tardi.
La sintomatologia si è risolta dopo un breve ciclo di glucocorticosteroidi per os.
I medici ed i pazienti dovrebbero essere informati sulla possibile insorgenza di reazioni allergiche ritardate con il Natalizumab.
Krumbholz M et al, Arch Neurol 2007; 64: 1331-1333.