L'IFN è un complesso sistema biologico costituito
da un gruppo di molecole proteiche, che vengono sintetizzate dalle cellule
in risposta a infezioni virali o a induttori biologici o sintetici. Sono
stati finora individuati tre tipi di interferoni:
IFN-alfa
L' interferone-alfa comprende in realtà una famiglia di circa 20
proteine secrete principalmente dai leucociti (linfociti B e linfociti
T) ed è detto per questo "interferone leucocitario";
IFN-beta, rappresentato
da 2-5 sottotipi, prodotto dai fibroblasti del tessuto connettivo in risposta
a stimoli virali o a polinucleotidi sintetici; L' interferone-ß
è detto anche "interferone fibroblastico".
IFN-gamma (unico), è
secreto dai linfociti T e cellule Natural Killer
(NK) in risposta all'Interluchina-12 e all'Interluchina-18.
Sulla base di analogie strutturali e di proprietà farmacocinetiche
comuni, gli IFN-alfa e beta sono stati accomunati e vengono anche chiamati
IFN di tipo I, mentre l'IFN-gamma è anche definito di tipo II.
Gli IFN sono dotati di proprietà antivirale, antiproliferativa
ed immunoregolatrice. L'attività antivirale è specie-specifica,
ad ampio spettro, e non si esplica direttamente sui virus, bensì
attraverso l'induzione nelle cellule infettate di una condizione di resistenza
a quei patogeni attraverso vari meccanismi, molti dei quali non ancora
chiariti. La loro funzione specifica è quella di:
inibire la replicazione di virus all'interno delle cellule infette;
impedire la diffusione virale ad altre cellule
rafforzare l'attività delle cellule preposte alle difese immunitarie,
come i linfociti T e i macrofagi;
inibire la crescita di alcune cellule tumorali.
Gli interferoni agiscono in questo modo:
si legano alla membrana delle cellule e ne stimolano la produzione
di enzimi antivirali
quando un virus attacca una cellula attivata dall'interferone,
non riesce a moltiplicarsi a causa degli enzimi antivirali
si verifica quindi un arresto o un'attenuazione dell'infezione.
Uno dei meccanismi conosciuti è quello che, una volta avvenuto
il legame di quelle molocole ai recettori specifici della membrana cellulare,
blocca la sintesi delle proteine necessarie alla replicazione virale.
Quando la cellula iniziale muore a causa del virus RNA citolitico, migliaia
di questi virus vengono rilasciati verso le cellule circostanti. Tuttavia,
queste cellule hanno già ricevuto l'interferone che le ha allertate
riguardo la minaccia esterna. Le cellule iniziano a produrre grandi
quantità di una proteina nota come PKR (Protein kinase-R). Se un virus
infetta una cellula che è stata pre-allarmata dall'interferone, questa
si trova pronta a rispondere all'attacco. Questo impedisce la replicazione
del virus, ma inibisce anche le normali funzioni del ribosoma della
cellula, uccidendoli entrambe. Tutto l'RNA all'interno della cellula
viene degradato. Ai suddetti meccanismi si debbono verosimilmente anche
gli effetti antiproliferativi degli IFN sulle cellule tumorali.
Come già detto, gli IFN sono inoltre dotati di una potente azione regolatrice della risposta
immune, che si esplica attraverso l'aumento del potenziale citotossico delle cellule NK, la
modulazione della risposta anticorpale e l'incremento dell'espressione
degli antigeni virali sulla superficie cellulare. Quest'ultimo
evento espone la cellula infetta all'azione dei linfociti T citotossici.
Gli IFN alfa e beta, i più utilizzati come antivirali perché
dimostratisi più attivi dell'IFN di tipo II, si somministrano
per via endovenosa, o per via intramuscolare o sottocutanea; tra queste
due ultime vie non esistono significative differenze sotto il profilo
farmacocinetico. L'impiego degli IFN non è esente
da effetti collaterali, quando essi siano utilizzati per via sistemica;
tali effetti sono dose-correlati e generalmente reversibili dopo la
sospensione del trattamento.
L’Interferone beta-1b esacerba
la Sclerosi Multipla con demielinizzazione ottico-spinale
E’ stato valutato l’effetto dell’Interferone beta-1b (Betaseron) nella
Sclerosi Multipla con grave demielinizzazione del nervo ottico e a livello
del midollo spinale.
I Ricercatori hanno esaminato la relazione tra l’outcome (risultato) del
trattamento con Interferone beta-1b e le caratteristiche genetiche e cliniche
di 3 tipi di malattie demielinizzanti del sistema nervoso centrale, tra
cui la neuromielite ottica (NMO), la Sclerosi Multipla (MS) e la sclerosi
multipla con grave demielinizzazione ottico-spinale.
I pazienti giapponesi con Sclerosi Multipla sono spesso portatori dell’allele
HLA DPB1*0501, che è associato a neuromielite ottica.
La Sclerosi Multipla con DPB1*0501 è risultata associata a grave demielinizzazione
ottico-spinale, rappresentata da lesione del midollo spinale, cecità e
pleocitosi del liquido cerebrospinale. Il trattamento con Interferone beta-1b non ha avuto successo in questi
pazienti.
Secondo gli Autori, l’Interferone beta-1b non dovrebbe essere somministrato
a pazienti con demielinizzazione e con caratteristiche genetiche e cliniche
che mimano la neuromielite ottica come l’allele HLA DPB1*0501, lesione
del midollo spinale, cecità e pleocitosi del liquido cerebrospinale, anche
se questi presentano lesioni cerebrali sintomatiche come quelle tipicamente
viste nella Sclerosi Multipla. La diagnosi di questi pazienti dovrebbe
essere neuromielite ottica.
Warabi Y et al, J Neurol Sci 2006; Epub ahead
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Sclerosi
multipla: Interferone–beta e rischio di suicidio
L’Interferone beta (Interferone beta-1a: Avonex, Rebif; Interferone beta-1b:
Betaseron) trova indicazione nel trattamento della Sclerosi Multipla remittente-recidivante. L’Interferone beta non dovrebbe essere utilizzato nei pazienti con anamnesi
di depressione grave o tendenze suicidarie, nei soggetti con epilessia
non controllata in modo completo o alterazione della funzionalità epatica
non controllata.
E’ consigliata cautela nei pazienti con anamnesi per queste condizioni
o con patologie cardiache o mielodepressione.
I più comuni effetti indesiderati associati all’impiego dell’Interferone-beta
comprendono: irritazione nella sede di iniezione (infiammazione, ipersensibilità,
necrosi), sintomi simil-influenzali (febbre, brividi, mialgia o malessere).
Nausea e vomito si presentano in modo occasionale.
Sono state osservate reazioni da ipersensibilità, inclusa anafilassi ed
orticaria, disturbi ematologici, disturbi mestruali, alterazioni dell’umore
e della personalità, tentativi di suicidio, stato confusionale e convulsioni,
alopecia, epatiti ed alterazioni della funzionalità tiroidea.
Fonte: British National Formulary
Sia l'interferone beta 1b sia l'interferone
beta 1a riducono il numero delle riacutizzazioni.
La prova emerge dai risultati di diversi studi
multicentrici americani ed europei, tutti peraltro finanziati dalle industrie
produttrici dei farmaci.
Una ricerca americana, avviata nel 1993, a cui parteciparono 372 malati
con decorso relapsing remitting ha dimostrato una diminuzione di almeno
un terzo delle crisi nei pazienti trattati con interferone beta 1b alla
dose di 8 milioni UI sottocute a giorni alterni rispetto a quelli che
avevano ricevuto il placebo.
I pazienti sono stati seguiti per circa quattro anni e il farmaco è
rimasto efficace per tutta la durata dello studio, benché in modo
più evidente durante il primo anno di somministrazione.
Il grado di disabilità, invece, non
è variato in modo significativo.
Una modesta riduzione dell'invalidità è stata invece ottenuta,
nel 1996, nella stessa forma clinica, utilizzando l'interferone beta 1a
alla dose di 6 milioni UI la settimana intramuscolo. Dopo due anni di
trattamento si è accertato un peggioramento del quadro clinico,
misurato come incremento di almeno un punto nella scala di Kurtzke per
la quantificazione dell'invalidità motoria, nel 22 per cento circa
di pazienti trattati e nel 35 del gruppo placebo. La ricerca ha confermato
anche che il farmaco riduce il numero delle fasi acute. Due studi successivi
hanno invece impiegato l'interferone beta 1a a dosaggi più elevati.
Il primo ha utilizzato il farmaco a dosi pari a 3 milioni UI tre volte
la settimana sottocute in un gruppo e a 9 milioni UI tre volte la settimana
in un altro, in assenza controllo.
I risultati, pubblicati finora solo sotto forma di abstract, mostrano
una riduzione del
numero delle fasi acute più marcata nei pazienti trattati con il
dosaggio maggiore, mentre in entrambi i gruppi non viene segnalato nessun
effetto significativo sul grado di disabilità.
La seconda ricerca comprendeva anche un gruppo placebo, gli altri due
essendo trattati rispettivamente con interferone 6 milioni UI tre volte
la settimana e 12 milioni UI tre volte la settimana sottocute.
Ancora una volta è stato possibile osservare la riduzione delle
fasi acute, solo lievemente accentuata nel gruppo che ha assunto il dosaggio
più elevato. Il peggioramento del quadro neurologico, infine, è
sopraggiunto più tardi nei pazienti curati con l'interferone.
Un solo studio clinico si è proposto di valutare l'efficacia dell'interferone
beta nei pazienti con decorso progressivo secondario. A più di
700 pazienti è stato prescritto o interferone beta 1b alla dose
di 8 milioni UI a giorni alterni sottocute oppure un placebo: il gruppo
trattato peggiora meno del controllo.
AGISCONO SULLE PLACCHE
L'uso clinico degli interferoni è stato però approvato sia negli Stati
Uniti sia in Europa non solo sulla base di dati clinici.
Tutte le ricerche hanno valutato anche l'eventuale effetto anatomico del
trattamento, e la sua entità, mediante l'esecuzione di risonanze magnetiche
seriate (RM) con gadolinio.
Nei pazienti trattati con interferone è minore l'estensione delle placche
attive, cioè delle aree di alterato segnale che assumono il mezzo di contrasto.
Apparentemente questo dato dimostrerebbe l'utilità certa degli interferoni,
ma il valore clinico di quanto osservato non è stato ancora chiarito.
Nella Sclerosi Multipla, come è noto non
esiste una precisa correlazione tra danno anatomico e sintomatologia:
placche localizzate
in aree silenti - per esempio nella sostanza bianca periventricolare -
possono non arrecare disturbi, mentre lesioni
situate in punti chiave per il controllo del movimento - per esempio una
placca nel midollo spinale o nel cervelletto - possono
comportare un deficit neurologico grave.
Fin quando nuovi studi non avranno definito la correlazione tra danno
anatomico oggettivo e grado di invalidità, ogni decisione terapeutica
dovrà basarsi solo su quanto dimostrato con certezza. Si sa, per esempio,
che il trattamento con interferone può essere vantaggioso nei casi in
cui sia nota la tendenza alla ricaduta, poiché è probabile che il numero
delle fasi attive della malattia si riduca di circa un terzo.
Lo schema di trattamento più efficace non è stato però ancora identificato
e attualmente non è nemmeno possibile prevedere se la riduzione di recidive
si traduca a lungo termine in una protezione dai danni neurologici.
Nella pratica clinica la questione è ancora più complessa. Gli effetti
collaterali del trattamento sono: una sindrome parainfluenzale, reazioni
cutanee nel sito di iniezione e depressione.
Ciò che preoccupa maggiormente è la reazione
immunologica che interessa oltre il 20 per cento dei malati
cui viene somministrato il farmaco.
In particolare, la produzione di anticorpi anti interferone, capaci di
neutralizzarne l'attività, è più cospicua proprio tra coloro che sono
affetti da forme aggressive di Sclerosi Multipla.
INTERFERONE BETA-1a Avonex®- DOMPÈ
BIOTEC Rebif®- SERONO PHARMA Classe A nota 65 INTERFERONE BETA-1b
Betaferon®- FARMADES Classe A nota 65.
Evento: insufficienza epatica.
Mediante una Dear Healthcare Professional Letter del 4 dicembre 2003,
concordata con le ditte produttrici, l’Health Canada rende noto che gli
interferoni beta (beta-1a e beta-1b), utilizzati nel trattamento della
Sclerosi Multipla, sono stati associati a 3 casi di insufficienza epatica
che hanno richiesto il trapianto di fegato. Secondo tale nota informativa,
gravi danni epatici (epatiti autoimmuni, epatiti ed insufficienza epatica)
causati dagli interferoni beta sono rari (tra 1/1.000 e 1/10.000 pazienti
in un anno) e con una latenza variabile (maggiore rischio di epatossicità
durante i primi 6 mesi di terapia). Viene, pertanto, raccomandato un attento
monitoraggio della funzionalità epatica da effettuarsi ogni mese durante
i primi 6 mesi di trattamento e, in seguito, semestralmente. I pazienti
esposti al farmaco devono essere correttamente informati relativamente
ai segni e sintomi predittivi di danno epatico e cioè ittero, prurito
diffuso, nausea e vomito, dolore addominale. Nel caso in cui i livelli
di alanina-aminotransferasi (ALT) subiscano un aumento di 5 volte i valori
normali, la somministrazione di interferone beta deve essere interrotta
o le dosi ridotte. Una metanalisi di 6 RCT, condotti su un totale di 2.819
soggetti, trattati con interferone beta 1a, ha mostrato che nel 59% dei
pazienti randomizzati al farmaco si è verificato un innalzamento dei valori
di ALT (asintomatico e dose correlato) durante i primi 6 mesi di terapia;
tale percentuale aumentava al 64% a 12 mesi e al 67% a 24 mesi.
Scrip Daily News Alert 2003; 2913: 26.- Health
Canada-Warnings/Advisories: Important safety information about the risk
of liver injury in patients taking beta-interferon therapy in www.hc-sc.gc.ca-
Francis GS et al. Hepatic reactions during treatment of multiple sclerosis
with interferon-beta-1a: incidence and clinical significance. Drug Saf
2003; 26: 815-27 (Abstract).